top of page
Immagine del redattoreDaniele Pezzali

“Le spillette”



(nella fotografia, io in Via Paolo Sarpi a Milano, davanti al nr. civico 56 - anno1971)

Questo racconto è la pagina più commuovente della mia infanzia, i ricordi in me sono nitidi, potenti e mi riconducono al Natale del 1974, in una Milano molto diversa da ora…


Deng, toc, deng, crash… col martello batto forte per spaccare l’altoparlante di un’auto. Sono inginocchiato per terra: le mie manine sono tutte nere, le ginocchia sporche, il sole batte forte sull’asfalto, la via è deserta.

È agosto e dopo pranzo, col caldo afoso di Milano, nessuno passeggia per la strada.

Ancora una martellata, forza! Ancora una martellata e finalmente quella calamita contenuta nell’altoparlante sarà mia!


Via Paolo Sarpi è una lunga via di Milano non lontana dal centro, vicino al Parco Sempione; nel 1974 quella via non era ancora la “China Town” dei giorni nostri, era piuttosto una strada con tante botteghe, con il cinema Aurora al suo inizio e l’Augusteo alla sua fine. Una via per lo shopping caotica e vivace, con i palazzi d’epoca, alcuni dei quali erano stati ristrutturati e occupati da uffici ed attività commerciali, altri invece recavano ormai segni di decadenza ed erano stati adibiti a case popolari.

Il numero civico 58 era un grande condominio formato da tre palazzoni costruiti ancora prima della guerra.

Si trattava di quelle case che chiamavano “di ringhiera”, formate da tanti piccoli appartamenti con gli ingressi che si affacciavano direttamente all’esterno sui ballatoi, con le storiche ringhiere in metallo cui venivano fissati gli stenditoi per la biancheria.

L’immagine di quei palazzi a prima vista era vivace e variopinta, i muri erano un’allegra accozzaglia di colori: giallo, verde, rosa… Non erano della stessa tinta perché ogni proprietario, nel ristrutturare il proprio appartamento, aveva provveduto a dipingere anche il muro esterno a suo piacimento. Le ringhiere correvano esternamente, lunghe e dritte, per tutti i piani del palazzo e la biancheria appesa colorava ulteriormente la facciata del condominio.

Curiose erano anche quelle porticine rosse e grigie in fondo ad ogni ringhiera… erano i gabinetti in comune a tutti gli appartamenti disposti sul ballatoio, infatti in quel contesto abitativo era considerato “troppo lussuoso” avere il bagno in casa!

Ed era quasi impossibile anche costruirlo perché quelle case erano state progettate con i servizi igienici all’esterno ed era veramente dispendioso, se non impossibile, costruire un gabinetto in casa dal momento che, per farlo, era necessario installare le tubature e passare per gli appartamenti dei vicini ai piani sottostanti.


Deng, deng, crash!

Ecco la calamita! Ce l’ho fatta! Bene, la calamita non si è rotta e ha la forma di un cilindro. Adesso devo trovare il modo di forarla per farci passare un filo.

Intorno a me: pezzi di metallo, carta e plastica, il marciapiede sporco… Il sole rovente, l’asfalto molle, mi scottano le ginocchia, mi asciugo il sudore, passano delle persone, ma nessuno bada a quel moccioso imbrattato con quel martello in mano, i negozi sono ancora chiusi per la pausa del pranzo.

Non so proprio come forare questa calamita, è impossibile farlo con un chiodo…. Ah, sì, nel cortile c’è “Ramaioli”, un’officina che ripara ammortizzatori, vado a farmi aiutare da loro…

Paolo è stato veramente bravo, ha messo la calamita nella morsa e con un trapano ed una punta piccola l’ha forata senza romperla… Meno male, con la fatica che ho fatto! Ecco, adesso lego il filo e sono pronto!

A quest’ora è inutile mettersi sul marciapiede a vendere giornalini, devo aspettare le tre e mezza quando i negozi aprono e la gente esce di casa. Ora è il momento di andare a recuperare i soldi nei tombini!

È stata una buona pesca: ho trovato ben 350 lire, due monete da 100 e tre monete da 50. Adesso vado a casa a lavarmi e poi mi piazzo davanti alla Standa a vendere i fumetti.

Mia mamma è in camera a riposare al piano di sopra, nell’unica camera che abbiamo, dove dormiamo in tre perché per mio papà non c’è abbastanza posto e lui dorme giù in un piccolo locale adiacente alla portineria.

Ma mio papà non è a casa… È in ospedale da tanto tempo e mio fratello Marco adesso è in guardiola a controllare la gente che passa.

La guardiola è un locale lungo e stretto, con un grande finestrone rivolto al cortile ed una porta di ferro e vetro che si affaccia sull’androne sotto il quale passano le persone ed i mezzi. Per fortuna, adiacente alla guardiola, c’è una piccola stanza nella quale abbiamo messo una branda che funge da divano, un tavolino, qualche mobiletto ed un televisore.


Prendo un catino, lo riempio d’acqua e comincio a lavarmi…

Mio fratello mi rimprovera perché ho sporcato i pantaloncini e la maglietta, mi guarda con disgusto per come sono sporco, ma con orgoglio getto sul tavolo quelle 350 lire pescate nei tombini della via e allora Marco sgrana gli occhi e smette di parlare.

Nel frattempo, mia mamma entra in portineria, mi vede, mi porge dei vestitini puliti, mi abbraccia forte quando le dico che oggi ho contribuito a trovare i soldi per fare un po’ di spesa.

Poi preparo la borsa, metto dentro una ventina di fumetti ed esco di casa con quel borsone, passo da Sergio l’ortolano e mi faccio dare una cassetta della frutta vuota.

I grandi magazzini Standa sono a cinque minuti di cammino, nel mezzo di Via Paolo Sarpi, mi siedo sui gradini davanti alle vetrine, metto tutti i giornalini in mostra e spero che passi abbastanza gente per vendere qualcosa.


Nell’estate del 1974 era scoppiata una nuova moda: tutti compravano delle spillette colorate e se le appuntavano ai vestiti. Da bambino le avevo viste in vendita per la prima volta al Parco Sempione vicino al Castello Sforzesco, dove ero andato a giocare, come di sovente, con mio fratello; mi ricordo di aver visto dei ragazzi con i banchetti intenti a vendere quelle spillette colorate.

Mi ricordo tanta gente che le guardava interessata ed in tanti le compravano per pochi spiccioli, già allora ero un ragazzino curioso e mi piaceva osservare qualsiasi cosa nuova che mi si presentasse davanti.

Dietro un banchetto c’era un ragazzo che stava lavorando su quegli oggetti: aveva una scatola piena di spille da balia di diverse misure ed una confezione di corallini di plastica colorata. Con una pinza dai becchi lunghi apriva la spirale della spilla e poi infilava i coralli fino a colmare un lato di essa, successivamente, sempre con la pinza, rinchiudeva la spirale e la spilla era pronta per abbellire una camicia, una sciarpa o i bordi delle tasche di un paio di jeans.

Rammento di aver portato mio fratello a vedere quel tipo di lavoro, mi disse che era un lavoretto facile, ma che a lui non interessava…


Oggi qui davanti alla Standa pare che nessuno sia interessato ai miei fumetti, sono qui da più di un’ora, come tanti altri giorni, e non ho ancora venduto nulla.

Penso ancora a quella passeggiata al parco e sono convinto che quelle spillette siano più facili da commerciare!


Per me da bambino i fumetti da vendere erano un lavoro vero e proprio; mia mamma non mi ha mai costretto a farlo, ma il clima di povertà in cui vivevamo in famiglia mi aveva fatto aguzzare l’ingegno.

Così, per ottenere quel giocattolo che i miei genitori non mi potevano comprare, imparai a guadagnarmi gli spiccioli in quella maniera.

Ma quegli spiccioli non erano solo per i giocattoli, avevo capito che con quei soldini potevamo pagare anche il cibo… Perché ad ogni fine mese non c’erano più soldi e mia mamma doveva chiedere alle botteghe nei paraggi di farci credito.

Mia madre lavorava come portinaia in quel complesso di case di ringhiera. Le famiglie residenti erano più di ottanta e molte altre camere erano affittate a persone che stazionavano per qualche settimana; vi abitavano anche tanti ragazzini, molti dei quali erano meridionali arrivati da poco a Milano. I condomini sapevano delle nostre condizioni economiche disperate e spesso ci donavano vestiti, libri ed appunto tanti fumetti, perché tutti sapevano che mio fratello ne era un appassionato lettore.

A dire il vero a quell’età a me interessava poco leggere, ed appena Marco aveva finito uno di quei fumetti, io lo mettevo nella borsa pronto per ricavarne qualche soldino.


Papà è ancora in ospedale, l’hanno già operato più volte agli occhi. Ha una malattia dal nome strano, “glaucoma”, ed ogni volta che lo operano è costretto a stare a letto con la testa immobile ed una benda sugli occhi per diversi giorni. Oggi è sabato: io e Marco siamo andati a trovarlo, ma non abbiamo parlato molto perché lui ha ancora quella benda e non si può muovere. Che peccato, non ci può nemmeno vedere… “Torna a casa presto papà”.

Dopo la visita Marco mi accompagna alla fiera di Senigallia, un mercatino dell’usato non tanto distante; ha guadagnato qualche soldo facendo le pulizie e vuole comprarsi dei vestiti. Girando per le bancarelle, vedo quella pinza con i becchi lunghi, chiedo a Marco di comprarla, ma lui dice che non ha abbastanza soldi; non mi ricordo il prezzo, ma insisto con tutte le mie forze e gli prometto che quei soldi glieli restituirò con i guadagni della vendita dei fumetti!

I soldi che aveva in tasca gli sono stati appena sufficienti per comprare un paio di jeans e la pinza con i becchi lunghi!

Finalmente ho in mano la mia preziosa pinza!


Nei giorni seguenti restituii i soldi a mio fratello, dopodiché, con un gruzzolo guadagnato in seguito, entrai nel grande magazzino per comprare una confezione di spille, mentre i corallini in plastica colorata li acquistai nella cartoleria vicino casa. Per saldare il mio debito e fare quegli acquisti mi ricordo che dovetti vendere fumetti per almeno un mese.


Finalmente mi posso dedicare alla confezione delle spille ed oggi, per la prima volta, le mostrerò assieme ai fumetti. Le ho disposte in bella vista su un cartone…

Il pomeriggio trascorre, ma con tanta delusione noto che nessuno compra le mie spillette!

Perché nessuno vuole le mie spille? Non capisco, cosa ho sbagliato?

Dopo qualche giorno con le spille in mostra vicino ai fumetti, una ragazza si ferma, guarda le spille con curiosità, senza però comprarle.

Vedo il suo interesse e le chiedo di comprarne una, lei mi guarda con tenerezza e mi dice che purtroppo non le piacciono perché i colori sono tutti scombinati e mi spiega che i colori devono essere uniformi, oppure sfumati.

Non capisco il significato di quell’osservazione, annuisco e sorrido, mentre la ragazza mi saluta e se ne va.


Quando tornai a casa, raccontai a Marco di quella conversazione, ma non mi prestò attenzione, poi ne parlai con mia mamma (che era sarta) e mi spiegò che quella ragazza aveva ragione, perché le mie spillette dovevano adattarsi ai colori dei vestiti, come si fa con una cravatta, quindi i colori dovevano essere caldi o freddi e non mischiati.

Allora cominciai a fare le spille in tinta unita con i diversi colori a disposizione, poi mia mamma mi spiegò come farle sfumate con i colori freddi e con quelli caldi (bianco, giallo, arancio, rosso, amaranto, rosso, arancio, giallo, bianco).

Mia mamma vedendomi così concentrato su quel lavoro e capendo quanto ci tenessi a vendere quelle spille, mi confezionò con cura un bel panno di velluto blu, tutto quanto ben cucito con i bordi di raso, per mettere in evidenza e valorizzare le spillette.


Sono di nuovo davanti alla Standa, ma oggi ho una marcia in più!

Dispongo i giornalini sul gradino dei grandi magazzini appoggiati alla vetrina e più in mezzo al marciapiede appoggio la cassetta della verdura con il bel panno di velluto blu e tutte le spillette ben ordinate sopra.

Sin dai primi minuti la gente ha cominciato a fermarsi, a guardare con interesse: e compra le spillette!

10 lire le più piccine, 30 lire le più grandi… solo pochi spiccioli… Un vero successo!!!!

In pochi giorni le ho vendute tutte ed il lavoro più grande è diventato quello di confezionare spillette; i giornalini sono ormai solo un complemento alla vendita!


Purtroppo, le mie spillette non erano sufficienti a pagare i debiti dei miei genitori… lo stipendio di mia mamma era misero anche perché le veniva decurtato il costo della stanza in cui vivevamo, quella stanza quadrata con un letto matrimoniale ed un letto piccolo, un grande armadio ed un lavandino… E nulla più. Quella stanza gelida d’inverno, quel vaso da notte sotto il letto per la pipì e quando scappava altro, bisognava vestirsi, uscire lungo la ringhiera ed andare in quel gabinetto condiviso da quattro famiglie… Quella turca nera senza più smalto, i muri umidi e freddi, quell’odore acre e quel chiodo sul muro con i fogli di giornale… Noi andavamo con il rotolo di carta igienica sotto il braccio, ma guai a dimenticarlo lì!

Mio padre era più in ospedale che a casa e non percepiva alcun reddito; dopo il fallimento del negozio di barbiere, aveva trovato solo lavori ad ore senza contratto. Mio fratello, uscito da scuola, andava a fare le pulizie in alcuni uffici dello stabile di fronte e commissioni varie… Ormai mia mamma per tirare avanti aveva venduto tutto quello che poteva … le era rimasta solo la fede nuziale e quella non era in vendita.


È ricominciata la scuola e quest’anno frequento la quarta elementare. È arrivato l’autunno e le giornate sono diventate fredde e piovose, non è più agevole andare a vendere fumetti fuori dalla Standa perciò ci vado solo il sabato, quando il tempo lo permette e per poche ore, finché i piedi e le mani non si congelano.

È novembre, sabato pomeriggio, come al solito sono con i miei fumetti davanti ai grandi magazzini ed è passata la mia maestra. Mi ha guardato con stupore e io mi sono sentito arrossire. Dopo quello sguardo, che si è protratto per un’eternità, mi ha salutato ed io non sono stato capace di risponderle.


A distanza di anni mia madre mi raccontò che quel giorno la maestra era andata in portineria a chiederle perché io fossi là sul marciapiede. Mia madre le rispose che per me quello era solo un gioco e che non ero costretto a stare là… Era un gioco nato dal senso di responsabilità e di partecipazione che avevo maturato spontaneamente e che era fiera di quello che facevo.

Non ho mai saputo cosa avesse pensato la maestra Laura a riguardo, ma ancora oggi ricordo quanta passione ripose nell’insegnamento e quanto fosse attenta al mio risultato.


Mio padre dopo quella terribile estate tornò a casa, non ci vide più molto bene, ma si rimise in salute e contribuì a condurre i lavori in portineria, dando modo a mia madre di fare qualche lavoretto da sarta.

Ero un bambino di strada, abituato sin dai primi anni a sopravvivere agli eventi, a schivare i pericoli e ad osservare quello che mi stava attorno per cogliere le opportunità.

Spesso con mio papà andavo in giro per Milano, adoravo andare a vedere i treni alla Stazione Centrale e passeggiare per Piazza Duomo, mi piaceva camminare sotto la Galleria, vedere i negozi con tutte quelle belle merci esposte… E quanta gioia quando con mio padre andavo alla Rinascente: dentro c’erano tutte quelle scale mobili, tutto era illuminato e brillante, tutte quelle belle cose, i vestiti, i giochi e tutti quei colori… che meraviglia Corso Vittorio Emanuele così frenetico, così affollato di gente ricca e ben vestita!


Il Natale è in arrivo e capisco che la gente è disposta a spendere, così mi metto in testa di fare “il grande affare” … Nessuno mi ha detto nulla, nessuno mi ha spinto verso quell’avventura.

Ecco, l’idea mi è venuta all’improvviso, vedendo le bancarelle degli ambulanti lungo le strade del centro. Un’idea forte e carica di entusiasmo.


Mancavano pochi giorni a Natale, così con tutti i soldi guadagnati con le vendite dei fumetti e qualche risparmio che avevo nel mio salvadanaio, ho comprato tante, tante spille… E poi mi sono messo a lavorare ore e ore chiuso in camera a confezionarne con tutte le combinazioni di colori.

Ero diventato bravo, avevo capito che le spille mono-colore dovevano essere per la maggiore fatte con tinte decise: rosso, blu, nero e bianco, mentre quelle sfumate dovevano essere precise e simmetriche, corallino per corallino: marrone, rosso, arancio, giallo e poi ancora arancio, rosso e marrone… Giorni e giorni di lavoro… Ne realizzai centinaia, forse più di 500… Avevo ormai le vesciche alle dita e più di una volta mi punsi.

E poi ecco arrivare il grande giorno: mancava pochissimo a Natale, ero già a casa da scuola e comunicai a mia mamma che dovevo andare a vendere le spille che avevo confezionato in tutti quei giorni. Ma questa volta non più davanti alla Standa, questa volta le cose dovevo farle in grande, le dissi che volevo recarmi in centro, e la pregai di lasciarmi andare perché ero sicuro di poter guadagnare tanti soldi!

Mia madre mi diede il permesso di andare, a patto che fossi accompagnato da mio fratello.

Marco protestava, lui si vergognava a morte a vendere qualcosa in mezzo alla strada. E così mia madre lo convinse ad accompagnarmi e poi a stare nei paraggi controllando che non mi succedesse nulla di brutto; non era necessario che lui stesse vicino a me.


Decido di lasciare i giornalini a casa, nella borsa ripongo solo il grande pacco di spille e tre panni di velluto che mi aveva preparato la mamma: quello blu e, in aggiunta, uno rosso e uno beige. Passo dall’ortolano a prendere due cassette della frutta, e con mio fratello mi incammino alla fermata dell’autobus per andare in Piazza Duomo.

L’obiettivo di quel pomeriggio è La Rinascente!!! Quel fantastico posto con tutte quelle luci.

Oggi fa freddo ma c’è il sole e non è così male stare fuori di casa; sono le tre del pomeriggio e sotto la Galleria di Piazza Duomo c’è già tanta gente, anche se La Rinascente non è ancora aperta.

Metto le mie cassette proprio davanti all’entrata, dietro una colonna della Galleria, poi dispongo sopra i panni di velluto e tutte le spille… Stavolta i prezzi sono diversi perché li ho aumentati: le piccole 20 Lire, le medie 40 e le grandi 60 … da subito, la gente che aspetta l’apertura del grande magazzino, comincia ad interessarsi alle mie spillette … È una cosa incredibile! Non riesco a badare a tutti quanti!

Chi guarda, chi mi chiede di provarla addosso, chi ne compra una, due e anche tre…… E la mia foga a dare il resto, a controllare che nessuno le prenda senza pagarle… A rimettere a posto i panni di velluto e tirare fuori dalla borsa quelle di scorta.


Fu un pomeriggio folgorante! A distanza di oltre quarant'anni ricordo nitidamente le voci, i colori, la confusione, l’odore delle caldarroste di un carretto lì vicino, la gente che mi guarda, che si china a guardare le spille, che le compra, che mi sorride dandomi 100 Lire e dicendomi di tenere il resto… I soldi in tasca… Non più le monetine ma i soldi di carta!!!

Durante tutto quel pomeriggio non vidi mai mio fratello, seppi solo dopo che lui si era nascosto lì vicino e che per tutto il tempo non mi aveva mai mollato con lo sguardo ed aveva controllato che nessuno mi facesse del male.


Non ho il ricordo di aver sentito il freddo sotto i portici in quel giorno prima di Natale, il mio entusiasmo per quanto stavo vendendo mi scaldava. Ero eccitato alla sola idea di non avere più spille a tinta unita poiché le avevo vendute tutte! Avevo anche tolto una cassetta e lasciato solo il panno blu; era ormai buio ed avevo proprio venduto quasi tutto, avevo le tasche piene di soldi, non avevo il coraggio di tirarli fuori, avevo paura che qualcuno me li potesse rubare!


Marco mi apparve davanti all’improvviso, saranno state le 19.00, lo stavo cercando con lo sguardo, avendo una voglia matta di dirgli quanti soldi avevo guadagnato.

Marco, dalla sua “postazione”, aveva notato dei barboni che mi giravano attorno, brutte facce che forse avevano capito che quel ragazzino aveva le tasche piene di soldi… Era arrivato il momento di andare via.


“Ciao Marco, che bello che sei arrivato! Ho venduto tutto!!!!”

Marco ha il viso spaventato, non sorride, mi dà uno strattone, prende il panno blu, che aveva su ancora una decina di spille, lo arruffa in fretta e lo mette nella borsa, poi mi prende per mano e mi ordina di correre veloce!

Non capisco nulla, voglio riprendermi le cassette della frutta, mi impone di lasciarle dove sono e di correre!

Abbiamo corso in mezzo alla gente diretti alla fermata del tram e siamo saliti con un balzo sul mezzo che stava chiudendo le porte.

Sono spaventato. Appena il mezzo si muove, mio fratello mi abbraccia e mi dice di non aver paura che abbiamo seminato la gente cattiva…

Rientriamo a casa tardi, mentre la cena è già pronta e mio padre è adirato per la nostra assenza. Mia mamma non gli ha riferito che siamo andati in centro… Entriamo in portineria, che era già chiusa, io sono entusiasta ed urlante, mi reco nella stanza adiacente alla guardiola e comincio a tirare fuori e porre sul tavolino tutti i soldi che ho in tasca: ci sono tante banconote stropicciate e tantissime monete.


Non so che cifra fosse, ma a distanza di tempo venni a sapere che la somma era l’equivalente di quasi mezzo stipendio di mia mamma, non ebbi però il tempo di godere di quel momento di gloria perché mio padre, infuriato alla vista di tutti quei soldi, si gettò su mio fratello e su di me e fu la prima volta in cui provai il sapore delle percosse!

Lo aveva fatto per amore, perché nessuno di noi aveva percepito il rischio che avevo realmente corso!

Quei soldi, naturalmente, in quella circostanza fecero comodo alla mia famiglia, ma dopo quell’episodio mio padre nascose la mia pinza con i becchi lunghi e mi proibì di andare ancora sulla strada a vendere le spillette!

Milano, 1974


Racconto tratto dal libro "Da Via Paolo Sarpi all'Oriente" di Daniele Pezzali edito da KDP-Amazon 2018 - (https://www.danielepezzali.com/libri)

Comments


bottom of page